Vincenzo Di Gioia sulla vicenda dei buoni pasto: «Alla fine abbiamo avuto ragione. I sindacati ci sconsigliarono di opporci alla delibera di Giunta. La presunta dura presa di posizione nella vicenda da parte dei sindacati? Un'assurda bugia. In questa storia spero che emergano responsabilità presso la Corte dei Conti circa un possibile danno erariale. E intanto altri cento…».
LUCERA – Lo scorso 18 settembre abbiamo intervistato Vincenzo Di Gioia, ex dipendente comunale, oggi in pensione, col quale abbiamo affrontato una vicenda di cui avevamo dato notizia qualche giorno prima, quella attinente alla sentenza di primo grado del giudice del lavoro attraverso la quale si è dato torto al Comune di Lucera nell’ambito della vicenda che ha avuto origine da una delibera della Giunta Municipale che sospendeva i buoni pasto. Di Gioia è stato il promotore dell’iniziativa di impugnativa del provvedimento approvato all’epoca in Giunta, incardinando un’opposizione a quella che è stata ritenuta un’ingiustizia nei confronti dei lavoratori del Comune. A Di Gioia si sono poi accodati ovviamente altri quattordici dipendenti comunali che avevano inteso impugnare quel provvedimento. È uscita dunque questa sentenza che ha dato ragione ai dipendenti e con cui si è condannato il Comune alle dovute spese, ma adesso non si sa se l’attuale amministrazione rappresentata dal sindaco Giuseppe Pitta (all’epoca dei fatti il sindaco che aveva sospeso i buoni pasto dando l’impressione di un vero e proprio atto d’imperio era Antonio Tutolo) proporrà opposizione a tale sentenza di primo grado.
Di Gioia ha spiegato innanzitutto che si era tenuta un’assemblea generale del personale nella sala consiliare di Palazzo Mozzagrugno, in seguito ad una sua sollecitazione nei confronti sia della CGIL rappresentata dal segretario provinciale Mario La Vecchia sia dalla RSU aziendale, nel corso della quale egli stesso, dipendente comunale, aveva ribadito che i buoni pasto erano un loro diritto e che quindi non si potevano sospendere, oltre al fatto che occorreva una serie di atti amministrativi che i dirigenti avrebbero dovuto predisporre.
In realtà c’era stata anche una lettera che anticipava quella che fu in seguito la relativa delibera di Giunta, senza contare che i dirigenti non diedero seguito a ciò che scrisse il sindaco indirizzato al dirigente del secondo settore dott.ssa Domenica Franchino, e non si diede neanche seguito, successivamente, ad un atto d’indirizzo di una delibera di Giunta, la 121 del 12 giugno 2015, infatti la RSU aziendale e la CGIL ritennero che non si sarebbe dovuto fare nessun atto nei confronti dell’amministrazione in quanto a loro parere si sarebbe potuta perdere la causa, considerato che si era nella fase del pre-dissesto. «A sostenere la tesi della CGIL nel tentativo di dissuaderci dall’intraprendere un giudizio di opposizione – ha affermato l’ex dipendente dell’ente promotore dell’impugnazione – fu addirittura l’avvocato della CGIL Ivano Di Matto».
Ma Vincenzo Di Gioia ha rincarato la dose quando ha affermato che «…in un articolo di un sito locale, peraltro, si parlava di una presunta dura presa di posizione nella vicenda da parte dei sindacati: ciò non è assolutamente vero! Anzi, l’unico ad aver preso posizione sono stato io, mentre l’idea dei sindacati era di non fare nulla, pertanto quello che è stato scritto è una palese bugia».
Per comprendere ciò che è accaduto, però, occorre tornare indietro nel tempo e risalire ad una deliberazione di Giunta Municipale, la n. 91 del 22 febbraio del 2000, ma prima c’era stata una copia di deliberazione di Giunta, quella del 25 ottobre del 1999, al cui punto 5 si diceva che il buono pasto sarebbe stato attribuito anche al segretario generale, quindi si passa alla deliberazione del 22 febbraio 2000 riguardante la determinazione circa il numero settimanale dei buoni pasto da attribuire ai dipendenti dal 1º gennaio di quell’anno, quindi con effetto retroattivo rispetto alla deliberazione di febbraio della stessa Giunta. Insomma, c’è un antefatto che riconosceva eccome i buoni pasto: in sostanza il buono pasto ha avuto un’evoluzione nel tempo e si è arrivati con la delibera commissariale del 2008 (a firma del dott. Michele Di Bari) ad un adeguamento di esso, facendolo passare da 4,65 a 7 euro.
Questa la ricostruzione per sommi capi delle date fondamentali rispetto all’interruzione che ha fatto sposare a Di Gioia la causa.
Ma veniamo a Tutolo: arriva lui e sospende i buoni pasto. L’ufficio Personale per liquidare i dirigenti avrebbe avuto bisogno di una pezza giustificativa, cioè le timbrature del cartellino, per vedere quanti buoni pasto spettassero ai dirigenti: «In tutta questa faccenda – aggiunge Di Gioia – i dirigenti autocertificavano le presenze pomeridiane senza timbrare il cartellino, poi tra lo stesso ufficio ed un dirigente emerse un’incomprensione. Nel frattempo il sindaco Tutolo, che seguì la vicenda, non tolse ai dirigenti la facoltà di autocertificarsi, quindi gli stessi continuavano a non timbrare. Siccome poi alla lettera che proprio il sindaco inviò al segretario comunale, ai dirigenti tutti e alla Franchino non fece seguito alcunché, lo stesso sindaco riunì la Giunta per fare un atto d’indirizzo e deliberare un servizio sostitutivo della mensa sospesa con la delibera 121 del 12 giugno 2015. Entro cinque giorni, dunque, i dirigenti avrebbero dovuto ottemperare a tale atto d’indirizzo».
Fu quindi fatta una delibera di Giunta che deliberava di sospendere l’erogazione dei buoni pasto a tutto il personale dipendente a decorrere dal 1º giugno 2015 nelle more dell’approvazione del piano di riequilibrio finanziario pluriennale da parte della competente sezione regionale della Corte dei Conti fino a nuova disposizione, ma la Corte dei Conti ancora non interveniva perché si era in fase di pre-dissesto appena dichiarato.
«Tuttavia nella stessa delibera veniva dato atto che il provvedimento dovesse essere notificato non solo al segretario generale e a tutti i dipendenti bensì anche a tutte le posizioni organizzative, alle organizzazioni sindacali ed alla RSU, ma in realtà non ci sarebbe stata alcuna notifica ai dipendenti, pertanto fu disatteso senza giustificazione l’atto d’indirizzo e comunque l’amministrazione non prese provvedimenti nei confronti dei dirigenti».
Così si arriva al 25 giugno 2015 e ad una determinazione, la 147 del terzo settore, Programmazione Economica e Finanziaria, che fa seguito alla 121, ma stranamente senza tener conto di essa. In ogni caso ad oggi non si ha contezza di quanto seguito all’atto d’indirizzo nei confronti della dirigente.
Peraltro con l’ultima determinazione del dott. Raffaele Cardillo veniva impegnata una somma per i buoni pasto pur avendoli sospesi con atto d’indirizzo, somma che comunque non è pervenuta. Una contraddizione stridente: pochi giorni prima il sindaco Tutolo sospende i buoni pasto, alcuni giorni dopo il direttore di Ragioneria impegna somme per i buoni pasto.
Così, alla luce di tutto ciò ad un certo punto Di Gioia scrisse alla Franchino, agli Uffici Personale e Stipendi ed al Sindaco chiedendo la corresponsione dei buoni (stiamo parlando del 12 aprile 2016) e in risposta alla sua lettera la dirigente lasciò intendere che l’erogazione dei buoni non rientrasse nelle sue competenze, ma l’atto d’indirizzo asseriva il contrario; inoltre la Franchino chiariva che era prerogativa dell’amministrazione istituire la mensa di servizio.
Insomma una gran confusione tra potere di indirizzo e controllo e potere gestionale.
Veniamo al 28 aprile 2017, con una copia di deliberazione della Giunta Municipale, la 123, il cui oggetto è l’approvazione del progetto del rendiconto della gestione 2016 e la relazione illustrativa, dove al punto A si delibera di approvare il prospetto relativo alla composizione dell’avanzo di amministrazione 2016 con distinzione tra fondi vincolati ed accantonati ricompresi all’interno del conto di bilancio allegato alla stessa: un vero e proprio controsenso, visto che in precedenza si era detto che si era in predissesto. Comunque, l’avvocato Angela Catenazzo ha raccolto la sottoscrizione di mandato dei dipendenti ed è iniziata la causa, dopodiché si è arrivati al ricorso, in cui sono stati esplicitati tutti i dubbi e le sottolineature riguardanti il caso, fino ad arrivare alla sentenza che ha dato ragione ai quindici ricorrenti.
Una storia che rischia di lasciare strascichi, perché ora Vincenzo Di Gioia suggerisce al Sindaco attuale in primis di ripristinare i buoni pasto per i dipendenti, quindi di chiedere ai cento colleghi (dipendenti comunali che in un primo momento non avevano aderito all’iniziativa promossa da Di Gioia, ma che due anni prima della scadenza dei termini avevano inviato una lettera interrompendo di fatto i termini della prescrizione) di sedersi attorno ad un tavolo e discutere di una contrattazione ai fini di un risarcimento.
L’avvocato del Comune è Ignazio Lagrotta, colui che ha perso la causa in primo grado ed in Appello nella vicenda 167 (sentenza ben nota, ormai, ed anch’essa recentissima).
Di Gioia si chiede, però, perché il risarcimento debba essere pagato dai cittadini, i quali di certo non hanno voluto la vicenda: «Spero che qualcuno dell’opposizione – conclude – porti la questione davanti alla Procura della Corte dei Conti per capire se ci sia un danno erariale ed eventualmente altro, perché paghino i dirigenti e Tutolo in primis».
Il Frizzo