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In merito a Lucera Capitale della cultura. La restanza, di Giuseppe Trincucci

LUCERA – Se a qualcuno tra qualche tempo verrà voglia di scrivere dei tempi presenti di Lucera, non potrà non ricordare quello che è accaduto l’ultimo 6 marzo a Roma presso il Ministero della Cultura. Sono state esposte in questa occasione le ragioni di una candidatura di Lucera e dei Monti Dauni a Capitale Italiana della Cultura 2026. Ma allo storico locale non interesserà solo la cronaca di una giornata che resterà inequivocabilmente di grande significato dopo tempi bui, molto bui, e di totale glaciazione, ma di una situazione che da cronaca diventa storia con annessi e connessi e con riverberi sul non lontano futuro della comunità civile.

Anzitutto è stato di grande emozione entrare in un edificio, il Collegio Romano, già scuola dei Gesuiti, che fu la prima sede della Biblioteca Nazionale di Roma Vittorio Emanuele II dalla sua fondazione nel 1875 per volere del lucerino di turno, Ruggiero Bonghi, che fu ministro della Pubblica istruzione tra il 1874 e il 1876 e che di cultura e di cose culturali se ne intendeva parecchio.

Ora quell’edificio è sede del Ministero della Cultura e vi si decide della vita culturale del Paese e di questa attività la scelta della Capitale Italiana della Cultura avviene anno per anno. Il 14 marzo sapremo quella che sarà scelta per il 2026.

Lucera ha iniziato la sua avventura nel luglio 2023, quando il sindaco annunciava ufficialmente la candidatura che è continuata fino a questo mese di marzo. Una scelta motivata e giustificata da una lunga tradizione e da un’attenzione che è continuata nel tempo. In effetti molti cittadini hanno potuto in ambiti e in modi diversi testimoniare questa antica vocazione. Purtroppo spesso è mancata in passato una scelta decisa e un indirizzo della pubblica amministrazione e anche una coralità organizzativa. Ma la recente inversione di marcia ha veramente significato una svolta epocale.

In una epoca in cui la città soffre di una grave crisi economica e identitaria, in cui l’emigrazione giovanile è crescente e per giusta ragione, puntare sulla cultura come volano di sviluppo e come incremento di attività terziarie legate al turismo è una delle poche possibilità per uscire dal guado.

Questa iniziativa del Sindaco Pitta e della sua squadra ha visto coinvolta gran parte della popolazione facendo recuperare chi aveva espresso scetticismo e dissenso. La strada intrapresa era tutta in salita e con non pochi ostacoli. Ma si è riusciti a far scrollare di dosso a molti cittadini la pigrizia mentale in cui erano caduti, dimenticando quelle prerogative di civismo, di sensibilità artistica, di attenzione alla storia e alle storie, di sede di giustizia, di sede di scuole di ogni ordine e grado, che per secoli e anche in tempi a noi vicini furono ben coltivate. La città ha dato un segno che si poteva invertire la rotta per risollevarsi dal piano inclinato della sfiducia e della ineluttabilità del declino e per coltivare nuove occasioni di lavoro e di sviluppo economico.

Vincendo le ultime resistenze e con il successo ottenuto al primo step, che ha visto Lucera tra le prime dieci città prescelte e quindi di aver ottenuto il titolo di Capitale Pugliese della Cultura per il 2025, ora non si può non sperare in una conclusione favorevole.

Ma questa occasione ha ben altre valenze. Infondere nella popolazione e soprattutto in quella giovanile il “concetto di cultura” è un risultato straordinario. La cultura non deve essere intesa come un fatto accademico, libresco, erudito, incline ai ricordi storici e alla glorificazione dei tempi passati. La cultura è ben altro: è rispetto delle regole, è rispetto delle norme, acquisizione di coscienza civica che significa rispetto della propria città, dei suoi luoghi, dei suoi ricordi. In fondo tenere la città pulita, fare la raccolta differenziata dei rifiuti, rispettare le regole del traffico è un fatto di cultura, di grande cultura.

Ma torniamo al titolo di oggi. La restanza. Non è solo il titolo di un affascinantissimo libro di Vito Teti, che è in definitiva un inno alla gioia e alla speranza. Gli studiosi di antropologia spiegano la restanza come una scelta di vita rischiosa e coraggiosa di chi decide di restare nel luogo dove è nato e cresciuto, nonostante i problemi del luogo di origine. È una scelta di vita non determinata dalla rassegnazione ma dall’entusiasmo che nonostante le sciagure, le sconfitte, le delusioni decide di restare, di mettersi in gioco, di rischiare anche rinunciando a una vita più facile, sicura e redditizia.

Ebbene nella Sala Spadolini del Collegio Romano in una giornata di timido sole, in cui Lucera e i Monti Dauni ce la mettevano tutta per dire quello che in prospettiva si pensa di fare in tema di cultura e di scelte turistiche e di sviluppo del territorio, si vedeva nei volti di tutti che si sperava con Fabrizio Gifuni che il sogno diventasse realtà e che finalmente si riacquisisse tra i giovani e i giovanissimi il senso di appartenenza e di amore per il natio borgo selvaggio, per farlo diventare motivo di restanza e di sicura e definitiva dimora.

Giuseppe Trincucci

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